Una delle caratteristiche più importanti per quanto concerne il rito della Chiesa Orientale è la venerazione delle icone, o “teologia in colori” come viene definita da alcuni studiosi. Nel XII secolo fu istituita ufficialmente da San Sava, massimo dottore e santo della Chiesa serba, la Slava, usanza propria unicamente della Chiesa serbo-ortodossa, conosciuta alle altre confessioni e tuttora celebrata annualmente. San Sava, figlio dell’allora sovrano Stevan Nemanja, è celebrato ancora oggi come il più grande santo della Serbia.

In una posizione importante della casa, davanti ad una candela sempre accesa, viene collocata l’icona del santo patrono. Vicino, spesso accanto ad altre icone, viene allestito un ambiente dedicato alla devozione e al ricevimento del sacerdote.

La Slava si ripete ogni anno con la celebrazione di una particolare Messa- la Messa – Slava, appunto – durante la quale viene fatta passare di mano in mano una torta caratteristica che, tagliata e baciata, è distribuita a tutti i componenti della famiglia. In questa maniera la famiglia ringrazia il santo protettore per tutti i beni ricevuti durante l’anno trascorso e spera che egli continui a proteggerla dal male.

Nel giorno della Slava il sacerdote asperge le abitazioni con l’acqua santa e benedice le spighe, in segno di venerazione e memoria dei defunti. Alla fine della funzione il sacerdote taglia la torta e, innalzandola verso l’icona, recita: “Questo io ti offro, O Signore, a onore e gloria del Santo. Con le Sue preghiere, o Signore, accetta questa offerta fra i tuoi doni celesti.”

Pertanto, come la croce è un segno di appartenenza al Cristianesimo, così l’icona è un segno caratteristico dell’Ortodossia. Nelle chiese e nelle famiglie ortodosse si possono trovare infatti più icone che croci. I fedeli spesso portano al collo o in tasca una piccola icona, come una croce.

Si tratta per lo più di riproduzioni di icona più cara della casa, generalmente appartenuta per lungo tempo alla stessa famiglia e passata da una generazione all’altra in eredità o ricevuta quale dono propiziante e di benedizione da parte dei genitori.

A volte il fedele sceglie personalmente la sua icona. Si tratta allora dell’effigie del santo che il credente sente più vicino durante la preghiera – a seconda della sua esperienza diretta o della sua tradizione familiare – ed al quale si affida. Infine alcuni monaci portano con sé un dittico o trittico, composto da più icone, che si può aprire e richiudere, così da offrire la possibilità al fedele, nel momento del raccoglimento, di trasferirsi col pensiero in chiesa, davanti all’iconostasi, davanti all’altare.

Tutti gli oggetti cui abbiamo fatto riferimento possono essere descritti col termine “icona” e rappresentano l’unico oggetto liturgico che accompagna dovunque il fedele ortodosso, dandogli la sicurezza e la fiducia di riuscire a compiere le imprese che prima pensava impossibili o aiutandolo a superare momenti difficili e delicati che lo rendono vulnerabile e indeciso.